Nella civiltà romana dell’antica Pompei si annoverano diverse usanze e tradizioni quotidiane che ritroviamo ancora oggi. Una di queste è sicuramente inerente agli antichi giochi e passatempi, molti dei quali costituiscono gli antenati di attivita’ ludiche attualmente diffuse.
La maggior parte di questi giochi non dovevano essere del tutto dissimili da quelli che si praticavano nella Roma imperiale della quale Pompei costituiva colonia fin dall’80 a.C.
Ma quali erano i giochi più diffusi nell’antica Pompei?
Scopriamolo insieme!
Innanzitutto bisogna distinguere i giochi praticati dai ragazzi, prevalentemente di movimento, da quelli degli più grandi prettamente sedentari, di abilità ed anche di azzardo.
Ebbene si’!
La passione per il gioco d’azzardo che spesso e volentieri sfociava (come accade oggi) nella ludopatia, era molto diffusa tra i pompeiani. Il fenomeno era diffuso a punto tale che per mettere un freno a questo vizio micidiale, i Cesari avevano mantenuto in vigore la proibizione dei giochi d’azzardo, fatta eccezione nei giorni dei Saturnali.
Per coloro che trasgredivano era prevista un’ammenda che addirittura ammontava ad un quadruplo della posta in gioco.
Ma come spesso accade con la maggior parte delle forme di proibizionismo anche nell’antica Pompei si ottenne l’effetto opposto. Spuntarono, infatti, come funghi locande nei cui retrobottega erano ben celate e soprattutto organizzate delle vere e proprie bische clandestine, nelle quali in ogni giorno dell’anno, non solo quindi durante i Saturnali, i pompeiani potevano dare sfogo alla loro passione per il gioco, “piazzando” scommesse, lanciando dadi e facendo risuonare gli “ossicini” (astragali).
Per giocare a dadi ci si serviva di due tipi di dadi.
Alcuni usavano i “tali”, fabbricati artificialmente in forma oblunga, erano costituiti da solo 4 facce. In origine essi non erano altro che ossicini (astragali) ricavati dal malleolo delle zampe di animali di piccola taglia. Sulle quattro facce erano raffigurati i numeri e il gioco consisteva nel lasciarli cadere dopo aver puntato la propria somma e sui numeri migliori.
Molto più complesso era invece il gioco dei dadi veri e propri (tesserae) costituiti appunto da sei facce.
Il gioco poteva essere fatto con due, tre o quattro dadi che venivano lanciati attraverso l’uso di un recipiente (fritillus). Il punteggio migliore ottenuto con tutti i dadi, cioe’ ventiquattro, si chiamava “venus”, mentre quello più basso, cioè quattro, era chiamato “canis”.
E non mancavano i bari!
C’era infatti chi tentava di manipolare il gioco utilizzando dadi gravati da un peso che ne condizionavano l’ esito nel punteggio.
Ci si intratteneva anche con quelli che ancora oggi sono i giochi piu’ diffusi, soprattutto quando si tratta di tirare a sorte: testa o croce, a quei tempi chiamato “navia aut capita”, e pari e dispari, ossia “par impar”. Entrambi i giochi sebbene monotoni e ripetitivi erano molto amati dai giocatori di azzardo più incalliti per il fatto che per la loro velocita’ di esecuzione consentivano di effettuare molte puntate in poco tempo…una specie di lotto istantaneo odierno!
Molto diffuso era anche la “micatio”, l’antenato dell’attuale gioco della morra, in cui i due giocatori posti uno di fronte all’ altro sollevavano ognuno le dita della mano destra, cambiando ad ogni turno il numero delle dita che lasciavano aperte e tentando di indovinare ad alta voce il totale. Chi pronosticava il totale corretto risultava esser vincitore.
Insomma ce n’era per tutti i gusti…mancava solo lo spot “Vuoi vincere facile?”