ARCHEOLOGIARUBRICHE

I Volumi delle Antichità di Ercolano: significato culturale e politico

Le Antichità di Ercolano esposte.  
Con la fondazione della Reale Accademia Ercolanese il re delle Due Sicilie aveva creato lo strumento idoneo per la realizzazione del progetto di pubblicazione delle scoperte di Ercolano. L’Accademia, pur tra le difficoltà correlate ad un lavoro così importante , riuscì ad elaborare un prodotto editoriale di altissima qualità e di grande interesse: i volumi delle “Antichità di Ercolano esposte”. Fortemente voluti da Carlo di Borbone e dal suo fidatissimo ministro Bernardo Tanucci, rappresentarono il risultato ufficiale degli sforzi sostenuti dalla corte che aveva avocato  a sé il compito esclusivo di illustrare le scoperte, procurando che quei volumi fossero destinati a rimanere prodotto di elevata fattura e di ristretta fruizione. Qualsiasi tentativo di aprire il progetto editoriale a più ampia commercializzazione risultò stroncato dal riserbo della corte napoletana; in nessun modo i volumi dovevano diventare prodotto di massa, ma essi nascevano e dovevano essere  distribuiti secondo un criterio elitario.

Il progetto iniziale  prevedeva la pubblicazione di quaranta volumi, ma in un trentennio ne furono pubblicati solamente otto. La raffinatezza delle incisioni e della rilegatura, la qualità della carta usata, la peculiarità del formato, la ricchezza  dei commenti alle incisioni,  conferivano ai tomi un carattere di bene di lusso, destinato ad una privilegiata cerchia di persone. Fin dal primo volume emerge il  forte legame tra l’opera ed il sovrano, che guardò ad essa quale prestigioso biglietto da visita da esibire alla nobiltà europea in segno della sua personale magnificenza. A testimonianza di questo legame vanno evidenziate le dediche al re  che inaugurano ogni tomo, anche quelli successivi al primo, pubblicati quando ormai il re sedeva sul trono di Spagna. Gli Accademici spendono in esse parole d’elogio verso il sovrano che “ […] ha pensato, risoluto, eseguito con dispendio Reale, con lunghissima cura, con sommo gusto, con amore paterno verso la patria […]” l’impresa ercolanese. Nella dedica contenuta nel secondo tomo, pubblicato quando Carlo aveva già raggiunto Madrid, i fedeli accademici ercolanesi, lo rimpiangono   e “Animati […] da questa forza agitatrice, ben vede il modo, quanto altro, che Le Pitture d’Ercolano noi vorremmo offerirvi, dopo che non ci resta più la lusinga di soddisfare alle soavi nostre infinite obbligazioni coll’obbedirvi”; Carlo restava l’ispiratore ed il propulsore di questa impresa editoriale ed a lui, anche se lontano, si dedicavano tutte le pubblicazioni. Nei volumi seguenti la sua partenza,  emerge sempre forte la nostalgia per l’assenza del re che aveva inaugurato una feconda stagione culturale ed archeologica per il Regno e furono proprio le pubblicazioni ercolanesi  un segnale del rapporto stretto che Don Carlos aveva con l’impresa archeologica vesuviana. Con i volumi delle Antichità  giungeva a maturazione il disegno politico del re, che i precedenti tentativi di pubblicazione, sponsorizzati dalla corte ma affidati a persone non idonee al compito, non avevano colto e assecondato; si doveva ora, improrogabilmente, mostrare al mondo il frutto della lungimiranza del governo borbonico che, terminate le guerre esterne di consolidamento, poteva ora indirizzarsi verso la promozione della cultura e poteva mostrare al mondo la bontà della politica del re e del suo entourage.

L’imponente impegno delle Antichità costituì anche un importante stimolo per lo sviluppo ed il potenziamento di strutture che si avviarono a rivaleggiare, per importanza, con le più importanti istituzioni similari europee. Per ottenere un risultato eccellente fu necessario impiegare diverse competenze e indirizzarle verso un  obiettivo comune, sotto la direzione dell’apparato centrale. Un ruolo fondamentale giocarono la Scuola di incisione di Portici e la Stamperia Reale. La Scuola di incisione di Portici,  raccoglieva disegnatori ed incisori provenienti dal Regno e dai vari Stati italiani e stranieri, che furono gli artefici dei rami delle incisioni delle Antichità. Il passaggio successivo della stampa fu affidato alla Stamperia Reale, che offrì, al suo primo importante incarico, una prestazione degna dell’impegno economico ed organizzativo profuso per la sua fondazione e funzionamento. Furono ripagati gli sforzi economici della corte, che non si tirò indietro di fronte alle ingenti spese  che l’impresa editoriale archeologica nel suo complesso richiese. Il re si convinse sin dal principio della centralità della vicenda ai fini dell’affermazione di prestigio personale e dinastico e perciò fu sempre risoluto nel non badare a spese, soprattutto quando si trattò di far conoscere al mondo, attraverso la pubblicazione, il risultato della sua politica culturale.

Dal punto di vista dei contenuti le Antichità si presentano come un prodotto sempre attento ai significati politici di cui doveva caricarsi. Fin dal primo tomo si volle evidenziare, in modo sottile ma inequivocabile, il parallelismo tra le virtù del sovrano e il gusto ed i valori classici, tra la compostezza e la razionalità classica e l’equilibrio e la forza morale di Carlo. Anche le incisioni raffiguranti il re richiamavano questo parallelismo, ritraendo il sovrano come  re di pace, il re archeologo che con la sua intelligenza, forza, lungimiranza si rende promotore di una iniziativa che reca grande lustro al Regno. Nessuna illustrazione all’interno dei tomi fu inserita a caso; i criteri di scelta delle incisioni da pubblicare tennero sempre in considerazione i diversi aspetti politici e culturali affiancandoli a quelli prettamente artistici, al fine di esaltare lo stile classico e di rapportarlo al presente del Regno borbonico. Il messaggio da far passare era mostrare il volto equilibrato e virtuoso del giovane Regno, guidato dall’illuminato Carlo, che con i tomi delle Antichità rivelava al mondo le meraviglie scaturite dal suo interesse verso l’arte e la cultura. 

La circolazione dell’opera.
Il passo seguente alla pubblicazione fu l’individuazione dei destinatari e la spedizione dei volumi. Anche in questo caso la macchina organizzativa del Regno borbonico funzionò bene sotto la guida esperta del Tanucci, riuscendo a cogliere man mano dall’esperienza gli spunti per migliorarsi. I destinatari principali furono i regnanti d’Europa e pochi altri illustri personaggi e istituzioni accademiche in linea con la volontà della corte di evitare una diffusione troppo ampia. I volumi non erano in vendita ma molti ambivano a riceverne dono; si apriva così una vera e propria “caccia al libro”, che vide la corte impegnata a rispondere alle continue richieste di aspiranti destinatari dell’opera. L’abate Galiani, diplomatico napoletano a Parigi, descrisse tale situazione in modo ironico e chiaro in una sua lettera al Tanucci, nella quale affermava “Mi creda con verità che il più grande castigo di Dio che possa avere chi stia servendo il re in paesi esteri, è questo santo libro che non si vende. La molestia è continua[…] e se io avessi potuto figurare l’assedio, e la persecuzione così grande e continua non sarei partito da Napoli senza stipulare che mi fosse lecito comprarne. Tutti offriscono pagare se si vende. Facciasi coraggio V.E. e tenti un’altra volta questa intrapresa”. Le spedizioni furono oggetto di una attenta pianificazione logistica che ebbe  quali importanti protagonisti gli ambasciatori del Regno accreditati presso le capitali europee; questo apparato organizzativo comportò notevoli spese, a causa soprattutto delle difficoltà dei trasporti, che richiedevano massima attenzione data la delicatezza del materiale trasportato. Furono studiate preventivamente ed in modo preciso tutte le eventuali difficoltà nei viaggi, modificando, laddove necessario, i percorsi, al fine di garantire la maggior sicurezza possibile. La spedizione dei tomi  costituì una tappa rilevante nell’accreditamento a livello europeo del Regno: essi dovevano arrivare integri alle corti europee, pronti per suscitare la meraviglia e l’ammirazione dei grandi sovrani del continente. Tanucci controllava attentamente l’invio e personalmente rispondeva alle frequenti richieste inoltrategli per riuscire ad avere l’opera, facendo da filtro per la  diffusione, essendo di fatto lo zelante guardiano a salvaguardia della eccezionalità dell’opera, che doveva restare privilegio di pochi; la ristretta diffusione era preordinata con l’obiettivo di aumentarne il prestigio, stimolando ancor più la curiosità intorno ad essa. Esserne destinatario rappresentava un’attestazione di prestigio personale, oltre che un segno dell’amicizia del re delle Due Sicilie.

antichità di ercolano

Le Antichità, sul piano più strettamente artistico, oltre a presentare una manifattura eccellente e particolarmente curata nei dettagli, costituirono anche un punto di riferimento basilare per la riscoperta della cultura e del gusto classico e dei loro valori. La compostezza, l’equilibrio, la razionalità che emergevano dalle pagine dei tomi   si avviavano ad influenzare in modo penetrante il gusto neoclassico successivo, anche grazie alla diffusione di copie non ufficiali che permisero una più ampia diffusione delle testimonianze di Ercolano.

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