«Non c’è nessun altro vulcano al mondo, nessun altro luogo di montagna per il quale sia stata pensata una cosa del genere, un intervento che coniuga bellezze naturali – che non hanno bisogno di parole tanto il Vesuvio è conosciuto, un’icona mondiale – con il genio degli artisti hanno apportato al fascino del vulcano il soffio della loro arte».
Con queste parole, il 29 ottobre del 2005, il direttore artistico Jean-Noël Schifano presenta un grande progetto divenuto realtà: il Vesuvio diventa sede di uno dei più caratteristici musei d’arte contemporanea a cielo aperto. Dieci opere realizzate da dieci importanti artisti di fama mondiale impreziosiscono la strada che conduce a quota mille in un connubio speciale tra paesaggio, atmosfera e creatività.
Questo è Creator Vesevo, avventura innovativa e visionaria, realizzata grazie all’idea dell’architetto Massimo Iovino, coordinatore del Programma Urban Herculaneum del Comune di Ercolano ed al Comune stesso.
La lava del Vesuvio è la materia usata per la creazione di questi lavori essa conferisce a queste opere un’appartenenza al territorio, una magia ancestrale e porta con sé la specificità del lavoro degli artigiani vesuviani della lava, conferendo al percorso museale un’identità forte che è il risultato finale di tutti gli elementi in gioco: la creatività degli artisti, la sapienza degli artigiani e il carattere dell’elemento lava.
Le sculture vogliono raccontare un territorio e vogliono farlo attraverso una chiave di lettura anche complessa, attraverso un codice di cui va ricercato l’accesso. In questo l’intera concezione e l’allestimento, curato da Schifano, rappresentano una sfida ed un invito ad accettare questi corpi estranei nel tessuto vesuviano. Esse sono in dialogo continuo con la terra vesuviana, con il paesaggio, strepitoso, che da lì si scorge…e con la gente vesuviana. Il rapporto di questi veri e propri totem con la gente vesuviana è altre-sì complesso e tocca una gamma di sentimenti che va da una sorta di rifiuto e di non comprensione ad una ammirazione totale del valore non solo artistico, ma concettuale ed in qualche modo spirituale. Queste “guide” silenziose e imponenti conferiscono una sorta di magia alla salita verso la cima del Vesuvio amplificando il mistero legato alla sua doppia natura di distruttore e creatore ed alla duplicità del sentimento dei vesuviani, sempre in bilico tra timore e ammirazione.
Iniziando la salita al vulcano, inaugura la serie di sculture “Listening with the eyes” dell’olandese Mark Brusse, che concepisce un colosso di pietra lavica con occhi che osservano, penetranti, chi si appresta a risalire le pendici vulcaniche.
Salendo, attendono poi imponenti le geometrie suadenti di “Totem” del portoghese Macedo, l’intenso “Antenato” di Vladimir Velickovic, la struggente immobile carica emotiva de “Il tempo inesorabile” di Johannes Grutzke.
E’ la volta poi di Lello Esposito con “Gli occhi del Vesuvio”, gigantesca maschera di Pulcinella. Cifra distintiva della poetica di Esposito la maschera, posizionata in un punto altamente panoramico, crea interazione con il visitatore invitandolo a guardare attraverso gli occhi della stessa il panorama ed in fondo invitandolo a guardare l’ambiente circostante con i propri occhi, ma calandosi nella prospettiva della maschera che diviene simbolo di un popolo e di una condizione e ponte carico di significato tra tradizione secolare e contemporaneità.
“Terra vivax” dell’islandese Ruri è una forma conica sferica in equilibrio su di un pezzo di lava che reca impressi i nomi dei vulcani più famosi al mondo. “Torso del Vesuvio” di Miguel Berrocal segue accompagnando il visitatore nel suo andare fino all’intimità familiare di “Face ou Vesuve” di Denis Monfleur, che emoziona con due genitori che sembrano osservare il vulcano timorosi ma coraggiosi per proteggere il proprio piccolo subito dietro di loro.
Anton Seguì sorprende invece con il suo “Icaro”, di cui si intravedono le sole gambe. La testa e il corpo “conficcati” nella pietra rifiutano di guardare fuori preferendo una ricerca in profondità, nella materia lavica, nei meandri della terra. Il percorso si conclude con “L’angelo di fuoco” del greco Alekos Fassianos, che tranquillizza con la sua maestosità e sembra creare un ponte tra arte antica e visione contemporanea, nella cornice di uno strepitoso panorama che in quel punto lascia letteralmente senza fiato.
Attraverso questa collezione è affidato ancora una volta all’arte ed agli artisti il compito di interpretare una realtà, trovare la sintesi tra natura e uomo, tra storia e modernità, tra materia e spiritualità. Questo percorso vesuviano è denso di simboli e di elementi che rinsaldano una volta di più il legame tra vesuviani e Vesuvio. Ciò richiede però uno sforzo di interpretazione per penetrare un codice anche ostico di comprensione. Una volta decifrato questo codice rappresenta l’opportunità per chi sale il vulcano di fare un passo più nella sua storia antichissima e attuale. Una storia millenaria che con Creator Vesevo si è arricchita di un capitolo nel quale la bellezza e la complessità del Vesuvio emergono in modo davvero sorprendente. Gli artisti sono riusciti a centrare il fulcro del rapporto uomo – vulcano e la specificità del Vesuvio e del suo peculiare milieux.