Quasi in cima al Vesuvio esiste una piccola chiesa divenuta, nel corso dei secoli, un punto di riferimento per tutta l’area alle falde del Vesuvio. Intitolata al Salvatore, l’edificio venne realizzato nel Settecento e rappresenta un ex voto vero e proprio, infatti venne innalzato dai contagiati dalla peste che, esiliati proprio sul Vesuvio al fine di isolare la popolazione da essi, miracolosamente scamparono all’eruzione del vulcano.
Fin dal principio a causa del posizionamento peculiare sul Vesuvio, la chiesetta, oggi cappella del complesso dell’Osservatorio Vesuviano, assume un grande valore per la fede e per la cultura popolare. Valore accresciutosi all’inizio del XX secolo grazie anche ad un avvenimento storico.
Infatti, tra il 31 dicembre 1899 ed il 1 gennaio del 1900, il cardinale Achille Ratti, futuro Papa Pio XI dal 1922, in visita a Napoli, volle risalire il Vesuvio fino al cratere per osservare da lì l’alba del nuovo secolo, proprio dalla chiesa del Salvatore. Accompagnato da alcuni associati della Sezione di Napoli del Club Alpino Italiano, dopo la tradizionale cena di fine anno svoltasi presso casa Cesaro, si avviò verso la cima del vulcano in modo da poterla raggiungere alle prime luci dell’alba, la prima alba del XX secolo.
Risalendo il dorso del Vesuvio, raggiunta la chiesa del Salvatore, vi celebrò una storica Santa messa di ringraziamento.
Proprio il futuro Papa Pio XI lascia una interessante testimonianza scritta di quella sua salita al vulcano, nella quale esprime tutto lo stupore e le sensazioni scaturite da quella escursione e dall’arrivo sull’orlo del cratere:
“Ci accolse (il Vesuvio) con un forte rombo, seguito da un’esplosione che, illuminando tutto in tondo, anzi tutta la cavità del cratere, ci fece rimanere attoniti alla terrifica grandezza dello spettacolo”.
E ancora, in un crescendo di meraviglia di fronte alla forza terrificante ed allo stesso tempo ammaliante della natura:
“La gran bocca del vulcano ci stava dinanzi spalancata in tutta la sua vastità. Dal cono sorgente al fondo del cratere, come da un ceppo di vivida fiamma, un elegante (non saprei dire altrimenti) getto di materia incandescente balzava gigantesco zampillo seguendo la verticale, e raggiunta l’altezza dell’orlo e superatala di parecchio, si espandeva non meno elegantemente in ampio lembo convesso, ricadendo come pioggia di fuoco, sui ripidi fianchi del cono medesimo. Fu un momento, poi, mentre il rombo andava come allontanandosi nella profondità della terra, il getto igneo si abbassava rapidamente e le bocche del cono si andavano rinchiudendo : le fiamme ne lambivano, guizzando per pochi istanti ancora, gli orli e finalmente tutto rientrava nell’oscurità e nel silenzio della notte”
Giunta infine l’alba il religioso quasi poeticamente ne racconta così “infinita bianchezza si diffondeva pel cielo sereno e prendeva aspetto di mobile argento, riflesso nello specchio di mare increspato dalla brezza mattutina”.
Nelle parole del futuro Papa ritroviamo tutta l’emozione di quella scalata carica di significato che ancora oggi resta uno dei ricordi più significativi legati alla storia recente del Vesuvio e del vesuviano.