Innumerevoli sono le leggende e gli antichi detti popolari tramandati di generazione in generazione alle falde del Vesuvio. Molti di essi ancora oggi sono parte integrante del viver quotidiano, influenzando marcatamente il linguaggio e atteggiamento del popolo vesuviano.
Fra i modi di dire più antichi senza alcun dubbio è annoverato: ” Caporà è mmuorto alifante!”
Capiamo insieme qual è il significato di questa espressione e soprattutto in quale occasione è nata…
Questa “sui generis” espressione viene usata nei confronti di colui che continua a vantarsi di un pregio che prima aveva ed (ahime’ per lui) ora non ha più.
E’ un modo di dire assai antico, risalente addirittura al 1742, anno nel quale il sultano della Turchia pensò bene di rendere omaggio al re Carlo di Borbone addirittura con un elefante.
L’ animale dalla stazza enorme fu affidato dal re borbone alle cure di un anziano soldato, il quale beandosi e vantandosi per l’incarico assegnatogli riscuoteva consistenti e numerose mance da parte degli innumerevoli visitatori dei giardini reali di Portici, spazio nel quale era appunto custodito ed ammirato il pachiderma (non facile da osservare a quei tempi).
Ma la mostra temporanea ebbe vita breve. Il povero animale, infatti morì pochi anni dopo, ma cio’ nonostante il caporale continuò a porsi con un atteggiamento altezzoso quasi di superiorità, ragion per cui comincio’ ad essere preso in giro dal popolo per l’appunto con l’espressione da li’ a poco divenuta celebre: “Capurà è mmuorto ‘alifante nun si cchiu’ nisciuno”!
Un “delicato” modo insomma, per fargli capire che non era piu’ il caso di darsi ancora delle arie.
I resti del celebre elefante ad ogni modo furono in un primo momento esposti nel museo Borbonico (oggi Museo Archeologico Nazionale), e successivamente nel 1819 trasferiti nel Museo Zoologico.