La vicenda archeologica napoletana fu seguita sin dall’inizio con grande emozione ed interesse dalla Repubblica delle Lettere, che si dimostrò sempre desiderosa di notizie dirette degli scavi. D’altronde la mentalità del secolo dei Lumi esigeva, quale preciso impegno, la diffusione delle notizie e la pubblicazione delle scoperte, in un’ottica di circolazione del sapere che tanto cara fu agli studiosi del tempo. Ma il progetto della corte non coincideva con tali istanze, e l’intento del re non era certo quello di consentire la circolazione delle notizie in modo ampio. Don Carlos fin dal principio si dimostrò gelosissimo delle sue antichità, cogliendone subito, anche grazie ai validi consigli del fidato ministro Tanucci, l’importanza per l’affermazione del prestigio personale e dinastico. Nessuno avrebbe potuto attribuirsi il merito di divulgare le scoperte prima e al di fuori del controllo della corte.
I primi tentativi di pubblicazione. A fronte di questo atteggiamento molto chiuso seguirono le frequenti richieste e le molteplici polemiche con la corte borbonica, al fine di spingere don Carlos a promuovere un programma di diffusione delle meraviglie ercolanesi. Pressato dagli eventi, il giovane sovrano tentò una prima pubblicazione delle scoperte; lavoro che si colloca alla metà degli anni quaranta del Settecento e che rimane visibile grazie allo studio di fonti indirette, dal momento che risultò fallimentare e non lasciò traccia diretta di sé. Come conseguenza di questo atteggiamento intransigente, e con il passare del tempo, iniziò una fuga di notizie, spesso inesatte o inventate, che aprì la strada alle prime pubblicazioni non ufficiali. Già nel 1740 Francesco Gori, nelle sue “Novelle Letterarie”,pubblicava notizie degli scavi; notizie che riceveva dal marchese Venuti, allora direttore delle operazioni . Proprio il Venuti, lasciata Napoli nel 1740, raggiunto dal sospetto di responsabilità nella fuga di notizie, pubblicò la sua “Descrizione delle prime scoperte di Ercolano” , un compendio del lavoro di scavo nel periodo della sua direzione, ampliamento di una precedente relazione che il re gli aveva commissionato per ragguagliare la corte spagnola sulle scoperte. Il volume fu pubblicato in seguito anche in Germania, Francia, Inghilterra e naturalmente gli valse l’irritazione del sovrano e soprattutto del Tanucci, che a più riprese palesò la propria sorpresa ed indignazione, arrivando a definire il libro una “bagattella”. In ogni caso, lo scritto di Venuti, oltre a scavalcare la corte, violandone il monopolio d’informazione, inaugurò un filone di pubblicazioni non ufficiali, anche in Europa, tra le quali si ricordano: le Notizie del memorabile scoprimento della antica città di Ercolano vicina a Napoli di Gori presso la Stamperia Imperiale di Firenze nel 1748; i “Memoirs concerning Herculaneum, the subterranean city, lately discovered at the foot of mounth Vesuvius” di William Fordyce presso Wilson di Londra nel 1750; le “Lettres sur les peintures d’Herculaneum” e le “Observations”di C. Nicolas Cochin presso Jombert di Parigi rispettivamente del 1751 e del 1754; il “Recueil d’antiquiteès ègyptiennes, ètrusques, grecques et romaines” del conte di Caylus stampato a Parigi tra il 1752 e il 1767.
Intanto il re, coadiuvato dal Tanucci, capì che non si poteva più attendere e fece partire il progetto che avrebbe portato alla pubblicazione ufficiale dei tesori ercolanesi. Il compito era stato affidato, a partire dal 1747 al Mons. Ottavio Antonio Bayardi. Prelato parmigiano, spedito dalla Curia romana come governatore a Benevento, riuscì, grazie all’appoggio del cugino marchese Giovanni Fogliani d’Aragona, allora Segretario di Stato del Regno borbonico, ad ottenere l’incarico di direttore della Biblioteca Reale ed in seguito di responsabile del programma editoriale sugli scavi. In quegli anni si costituiva anche la Stamperia Reale, sforzo organizzativo di grande importanza per la vicenda ercolanese, in quanto con essa veniva a predisporsi uno strumento adatto a realizzare in modo eccellente il progetto archeologico editoriale carolino.
Ma il Bayardi non riuscì ad intravedere le potenzialità che l’impresa archeologico editoriale poteva avere ai fini del consolidamento e del prestigio della monarchia; non seppe interpretare le esigenze strategiche che il re intendeva soddisfare tramite l’avventura ercolanese. Il lavoro del prelato parmense si concretizzò nella pubblicazione di cinque volumi, impressi nella tipografia reale, recanti il titolo “Prodromo delle Antichità di Ercolano”, nei quali si partiva dalla narrazione minuziosa della vita di Ercole, senza arrivare ad illustrare le scoperte. Tale sfoggio di inutile erudizione attirò polemiche veementi sul Bayardi, al quale gli eruditi non risparmiarono ironie di ogni sorta. Don Carlos risultò molto infastidito, e non valse a placare il suo disappunto il “Catalogo” del 1755 che il monsignore fece dare alle stampe e che non conteneva illustrazioni a corredo; inoltre, nella dedicatoria al re interna al volume, il prelato prevedeva tempi ancora lunghi per la definitiva edizione di qualche volume più completo.
La Reale Accademia Ercolanese. Don Carlos, che tanto entusiasmo e risorse stava impiegando, decise di sospendere Bayardi, e di affidare il compito ad una accademia di eruditi con l’incarico di illustrare le antichità ritrovate. A far propendere il re per tale soluzione fu il Tanucci che, passato nello stesso 1755 alla carica di Segretario di Stato e degli Esteri, aveva conquistato maggior spazio di azione. Poteva così iniziare il progetto editoriale ed archeologico napoletano, che attraverso l’abile guida del ministro toscano sarebbe riuscito a muoversi finalmente, a diciassette anni dall’inizio degli scavi, nella direzione voluta dal sovrano e strumentale ai suoi bisogni. Attraverso l’indirizzo tanucciano riuscirono a sfruttarsi compiutamente anche le potenzialità della Stamperia, che da questa impresa uscì consolidata e prestigiosa, ripagando l’ingente sforzo del re per la sua organizzazione.
Il rescritto reale di fondazione della Reale Accademia Ercolanese, firmato da Bernardo Tanucci, porta la data del 13 dicembre 1755. La fondazione dell’ Accademia valse al sovrano l’approvazione degli eruditi, che tanto si attendevano dall’istituzione di essa. L’Accademia era composta di quindici membri che avevano il compito di pubblicare ed illustrare gli antichi tesori ritrovati in Resina. La conoscenza che il Tanucci aveva con gli anni maturato riguardo alle antichità, lo convinse della necessità di promuovere un percorso interdisciplinare, coinvolgente più studiosi che fossero portatori di saperi diversi ma complementari . Un elenco dei “quindici idonei soggetti” che dovevano assolvere alla “spiegazione di tali antichi monumenti” è efficace per illustrare le diverse personalità e competenze che Tanucci ritenne di coinvolgere nel progetto. Gli Accademici furono: monsignor Ottavio Antonio Bayardi, l’ecclesiastico filologo Alessio Simmaco Mazzocchi, l’economista e poligrafo Ferdinando Galiani, il collezionista di monete e gemme incise Francesco Enrico Crasso conte di Pianura, i giuristi Giacomo Castelli, Salvatore Aula, Pasquale Carcani, Gerolamo Giordano, l’insegnante Nicola Ignarra, l’erudito giureconsulto Francesco Valletta, l’archeologo e storico Francesco Maria Pratilli, l’abate numismatico Mattia Zarrilli, il direttore della Stamperia Reale e padre Giovanni Maria della Torre, padre Tarugio Tarugi, il barone Domenico Ronchi. Subentrarono in seguito anche il marchese Bernardo Galiani e Giovanni Battista Basso Bassi. Camillo Paderni, custode del Real Museo Ercolanese, pur non incluso tra i soci, veniva di frequente convocato per dare chiarimenti sui monumenti illustrati. Inizialmente fu scelto quale segretario perpetuo il Valletta, che essendo di età avanzata, fu in seguito sostituito dal Carcani . Molto significativa e applaudita al tempo la scelta del Della Torre, esperto nelle scienze fisiche e vulcanologo. Ricoprì la carica di presidente fino al 1771 il Tanucci stesso. Le riunioni dell’Accademia, in mancanza di una regolamentazione, si svolgevano con scadenza bisettimanale. Ad ogni riunione venivano lette le descrizioni di ciascuna figura o monumento ed ogni membro aveva il diritto di aggiungervi personali osservazioni. Il testo, riesaminato, passava poi all’ attenzione del segretario che, nel rispetto di tutti i pareri espressi, stilava una sintesi complessiva, che andava a formare il commento delle singole tavole dei tomi delle “Antichità di Ercolano”. Da questo tipo di organizzazione emerge la volontà del Tanucci tesa a dare risalto al lavoro collegiale dell’istituzione; ed infatti i volumi si presentavano quale opera comune degli accademici. Tale procedimento comunque, ritenuto troppo lento, fu poi sostituito, a partire dal 1760, dalla stesura dei testi da parte del segretario Pasquale Carcani; i volumi dal terzo al settimo seguirono quel procedimento più rapido, pur qualificandosi sempre come opera comune di tutti gli accademici. I lavori procedettero, in ogni caso, con lentezza; gli Accademici, persone d’età e assorbiti da altre personali occupazioni, disertavano spesso le riunioni per cui il ritmo dei lavori non fu quello previsto ed auspicato da Tanucci. Nel 1792, a fronte dei quaranta volumi previsti, ne risultavano pubblicati solo otto. Si apriva così un divario incolmabile tra pubblicato ed inedito, che lasciò un’eredità importante di materiale già pronto ma destinato agli archivi.
Con la partenza, il 10 ottobre 1759, di Carlo di Borbone per Madrid , le riunioni dell’Accademia divennero più sporadiche, fino ad interrompersi definitivamente con la pubblicazione del settimo tomo. In seguito fu il ministro Domenico Caracciolo, il 15 aprile 1787, che convinse re Ferdinando IV, figlio di Carlo e Maria Amalia di Sassonia e successore al trono del Regno di Napoli, a ridar vita all’istituzione; il progetto di portare avanti il programma originario dell’Accademia, nel quale furono coinvolti anche quattro dei soci originari, avanzò di nuovo con eccessiva lentezza, portando alla pubblicazione del solo volume riguardante “Le luci e icandelabri”, datato 1792.
L’Accademia e la politica culturale borbonica. Dal punto di vista politico e culturale l’Accademia giocò un ruolo strategico importante, presentandosi quale strumento di affermazione e di accreditamento, a livello interno ed internazionale, della monarchia carolina. Il giovane Regno napoletano, per resistere alle spinte destabilizzanti, interne ed esterne, aveva bisogno di ritagliarsi uno spazio di credibilità e di affermare con forza una precisa identità e la propria indipendenza; re Carlo voleva per il suo Regno un ruolo da protagonista e non da semplice comprimario di giochi di potere che si svolgevano altrove. Tanucci si dimostrò acuto interprete delle contingenti esigenze di governo della monarchia e delle potenzialità che uno strumento di politica culturale come l’Accademia implicitamente possedeva. Attraverso la sua direzione l’istituzione si ritagliò un notevole spazio a livello internazionale, principalmente tra le fila della Repubblica delle Lettere del tempo, che con tanta eccitazione ed interesse seguì le vicende degli scavi archeologici napoletani.
Certo, la politica culturale della corte partenopea deluse in parte le grandi aspettative della comunità colta europea, mostrandosi intransigente nella volontà di restare “estranea a questo nuovo battage scientifico pubblicitario di cui avrebbe potuto essere protagonista”. Ma il riserbo e l’avversione verso qualsiasi iniziativa divulgativa non ufficiale, con i quali la corte gestì la vicenda ercolanese, non furono espressione di gelosia fine a se stessa o di mediocrità provinciale, come da più parti si ritenne, bensì risposero ad una precisa strategia diretta ad avocare esclusivamente al sovrano, attraverso i fedeli accademici, la prerogativa di alzare il sipario sui tesori ritrovati; “[…] le corti d’Europa dovevano stupire […] di fronte allo spettacolo che il re di Napoli poteva offrire delle sue conquiste estese […] fin nelle viscere della terra”. Era questa l’intenzione politica che Tanucci tenne sempre ben presente nell’orientare il percorso dell’Accademia. In nessun modo il Segretario di Stato si lasciò distogliere dai suoi obiettivi, che erano quelli del re, replicando deciso sia a chi dall’interno proponeva di promuovere più diffusamente la vicenda , sia a chi, come il Barthelemy, suggeriva di coinvolgere in un lavoro di ampio respiro le varie accademie europee. Tanucci sarebbe rimasto sempre fedele al percorso immaginato e voluto da don Carlos, a testimonianza della forza di un sodalizio che non si sarebbe affievolito nemmeno con la partenza del re per il trono di Spagna Carlo per Madrid. Fu proprio il gentiluomo toscano che, attraverso un gran numero di lettere, teneva informato Carlo III sulle vicende degli scavi.
Ad ogni modo la funzione eminentemente politica dell’ istituzione accademica non svilì la sua forza dal punto di vista culturale; nonostante le difficoltà legate alla novità e alla vastità dell’impresa, il risultato fu di alto livello. I volumi rappresentarono un grande momento di crescita del Regno delle Due Sicilie, mostrando agli occhi curiosi dell’Europa un prodotto di pregevole fattura, frutto degli sforzi di un re sensibile al richiamo delle arti. Seppur pochi rispetto alle iniziali previsioni, i volumi delle “Antichità” , conquistarono subito fama internazionale, mostrando agli occhi delle corti europee il volto illuminato del giovane Regno borbonico e del suo virtuoso monarca, che si avviava a rivaleggiare per splendore con i grandi sovrani d’Europa, e contribuendo ad orientare in modo determinante la diffusione di un gusto e di un modo decorativo, soprattutto nelle arti figurative.
Un pensiero su “La Reale Accademia Ercolanese e il ruolo di Tanucci”
La collaborazione tra il sovrano don Carlos ed il ministro Tanucci fu importante non solo per la fondazione della Reale Accademia Ercolanese che ha avuto poi ricadute a più livelli a partire da quello turistico.Effettivamente ci troviamo di fronte ad un sovrano ed ad un ministro illuminati. con cui Napoli ha realizzato una stagione di riforme civili,sociali,urbanistico-culturali.Benemeriti sono stati anche i gruppi intellettuali che hanno dato un contributo notevole alla rinascita della città.La stagione riformatrice continuò anche dopo che Carlo di Borbone divenne re di Spagna,fino a quando il ministro Tanucci e gli altri spiriti illuminati poterono dare in piena autonomia il loro contributo di idee e di proposte concrete.Infatti la collaborazione tra intellettuali e Ferdinando IV°( poi Ferdinando I°) durò fino a quando il nuovo re non cominciò la sua politica di chiusura e di repressione.,culminata nella tragedia della rivoluzione del 1799.Nè gli altri re borbonici seppero distinguersi per lungimiranza politica e culturale a tutto danno del Meridione,al di là di quanto sostengono anacronistici fan neoborbonici….